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L’ISCOS Marche Onlus è un’articolazione regionale dell’ISCOS – Istituto Sindacale di Cooperazione allo Sviluppo. Operativo dal 1 gennaio 1994, ISCOS Marche si è costituito formalmente il 15 luglio 1998. Attraverso la cultura della solidarietà e della cooperazione l’ISCOS Marche, in collaborazione con le istituzioni, le comunità locali e le organizzazioni sindacali dei paesi più poveri del mondo, promuove e sostiene iniziative di sviluppo per il lavoro, la produzione, la formazione, la salute, l’affermazione della democrazia e dei diritti umani e del lavoro. Dalla sua attivazione, l’ISCOS Marche ha completato o ha in corso di realizzazione iniziative di cooperazione internazionale in 16 paesi del mondo. Segui questo collegamento per saperne di più sui nostri progetti!

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giovedì 27 marzo 2008

Concerto Donna: dedicato al popolo birmano e alla sua lotta pacifica per la libertà


L'Iscos Marche onlus e la Cisl Ancona organizzano il "CONCERTO DONNA dedicato al popolo birmano e alla sua lotta pacifica per la libertà", il 27 marzo 2008 alle ore 21, presso l'Aula Magna dell'Università Politecnica delle Marche a Montedago di Ancona.
Il concerto prevede l'esibizione dell'Orchestra di Fiati "Città di Ancona", diretta dal maestro Mirco Barani.
L'ingresso è gratuito.

mercoledì 26 marzo 2008

Dall’Afghanistan alla Malesia, l’Islam nel cuore dell’Asia




L’Islam viene spesso ridotto in Occidente a pochi stereotipi, e così sfugge a volte il dato che solo il 20% dei fedeli musulmani nel mondo sono arabi, mentre la maggioranza si trova invece nei paesi asiatici, Indonesia e Paesi del subcontinente indiano in testa. Sfatare luoghi comuni, colmare lacune nella letteratura sui Paesi asiatici musulmani: questi gli obiettivi dei due volumi presentati a Roma il 21 febbraio scorso presso il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica (Pisai), di Paolo Nicelli e Francesco Zannini. Intitolati rispettivamente L’Islam nel sud-est asiatico (2007, pp. 288, €16), e L’Islam nel cuore dell’Asia – Dal Caucaso alla Thailandia (2007, pp. 260, €15), sono entrambi a cura delle Edizioni Lavoro, casa editrice della Cisl.

Nella tavola rotonda tenuta dagli autori assieme a Miguel Guixot del Pisai ed Emanuele Giordana, direttore di “Lettera 22”, si è messa in evidenza soprattutto la grande varietà di modi di vivere e di praticare l’Islam nei diversi Paesi dell’Asia musulmana. Il professor Zannini si è soffermato innanzitutto sull’Afghanistan, Paese lontano da noi geograficamente, ma che le vicende del terrorismo e delle missioni di pace hanno portato alla ribalta della cronaca mondiale. In Afghanistan, ha sottolineato Zannini, si fronteggiano due visioni dell’Islam distinte e contrapposte: quella tradizionalista, e quella integralista-fondamentalista. Il paradosso, evidenziato dal docente di arabo e islamistica, che ha vissuto per oltre un quindicennio nel subcontinente indiano, è che tra le due, quella integralista è la più “occidentale”, nel senso che i talebani fanno della religione una ideologia, una dottrina di legittimazione per la lotta politica e il mantenimento del potere, e ciò è molto occidentale.

E’ possibile, dunque, parlare di Islam come fattore socio-culturale unificante per l’Afghanistan? Sì e no, è la duplice risposta di Zannini. Sì, perché c’è un modo di praticare l’Islam nel quotidiano, comune alla maggioranza della popolazione afghana, in particolare un “afflato afghano del sufismo”. No, perché qui, più che in altre nazioni asiatiche, molto forte è ancora l’elemento tribale, e le varie tribù che ancora oggi si spartiscono l’Afghanistan si differenziano anche per la visione socio-politica dell’Islam. Questo ha radici storiche: se i musulmani del subcontinente asiatico hanno conosciuto, anche per contrapposizione, l’elemento unificante della colonizzazione britannica, e sono stati abituati a confrontarsi con le altre fedi e culture, ciò non è avvenuto in Afghanistan: il Paese ha saputo resistere fieramente nei secoli alle dominazioni straniere, ma soffre oggi di mancanza di “anticorpi” per rapportarsi alla globalità e alla modernità.

Tutt’altra storia quella della Malesia, raccontata da padre Paolo Nicelli, docente universitario e missionario del Pontificio istituto missioni estere in Asia. Com’è arrivato l’Islam nel sud-est asiatico, e in particolare in Malesia, dove oggi rappresenta il credo di circa il 60% della popolazione? L’intervento di Nicelli ha ripercorso la progressiva penetrazione della fede musulmana in questo Paese, nei primi secoli dopo l’anno 1000, attraverso l’arrivo di mercanti-missionari, soprattutto dal subcontinente indiano, che qui stabilirono basi commerciali e rapporti con la popolazione locale. Fu questa la fase di proposizione, e non di imposizione, della religione islamica. Poi, attorno al XIV secolo, iniziarono le prime conversioni di regnanti locali, e i mercanti-missionari acquisirono anche la funzione di consiglieri politici dei sovrani neo-convertiti.

Si assiste allora alla fase di istituzionalizzazione dell’Islam, in cui alle guerre di espansione dei regni musulmani si accompagna l’islamizzazione delle popolazioni conquistate, in un momento di crisi delle altre fedi e dei regimi ad esse legati. E che cos’è che, alla fine, provoca la conversione di massa al nuovo credo? Padre Nicelli è convinto che la risposta è da cercarsi innanzitutto nelle caratteristiche della fede musulmana in sé, oltre che nelle problematiche politiche, sociali ed economiche. L’Islam ha apportato ai Paesi asiatici, come Malesia e Indonesia, una dimensione unificante ed universalistica, permettendogli di relazionarsi efficacemente all’internazionalità.

Guai dunque ad immaginare l’Islam come un qualcosa di monolitico: in ogni nazione si assiste a differenti e problematiche combinazioni tra etnia e religione, tra fede e diritto, e in praticamente ogni Paese musulmano esiste un rapporto conflittuale tra minoranze integraliste e maggioranze moderate. Spesso sono le ultime che sopportano le conseguenze nefaste delle azioni delle prime, ed avvertono con disagio anche la crescente criminalizzazione della loro religione da parte dei non-musulmani.

martedì 18 marzo 2008

Emirati Arabi Uniti: lavoratori condannati a sei mesi di carcere

Quarantacinque lavoratori edili indiani sono stati condannati a sei mesi di carcere per l’accusa di riunione illegale, vandalismo e violazione della pubblica sicurezza dopo la loro partecipazione in uno sciopero lo scorso anno per richiedere migliori condizioni di lavoro.
ITUC protesta con forza contro questo verdetto della Corte Penale di Dubai, un verdetto che costituisce una grave violazione della Convenzione 87 sulla libertà di associazione. Secondo ITUC, il giudice capo Jassem ha voluto creare un precedente e dare un messaggio forte ai lavoratori “che ricorrono a metodi illegali per difendere i propri diritte dai datori di lavoro.”
“Questi lavoratori devono essere rilasciati senza ulteriori attese”, ha dichiarato Guy Ryder, segretario ITUC. “I lavoratori, specialmente se migranti, devono essere liberi di esercitare i propri diritti di libertà di associazione ed espressione”.
In una lettera mandata all’OIL, ITUC ha richiesto l’intervento urgente presso le autorità di Dubai e degli Emirati Arabi Uniti per l’immediata liberazione dei lavoratori e la cancellazione delle accuse.

Guatemala: la violenza continua

Il 2 marzo è stato assassinato Miguel Angel Ramirez, membro del Sitrabansur, sindacato dei lavoratori delle piantagioni di banane.
Il sindacato è stato fondato il 15 luglio 2007 da un gruppo di lavoratori, tra cui Ramirez, della Frutera Internacional Sociedad Anonima, che lavora per la Chiquita. Quattro mesi dopo la compagnia ha ottenuto una lista di tutti i membri fondatori e ha iniziato a minacciarli tramite i propri agenti di sicurezza privata. Alcuni sono stati illegalmente detenuti e costretti a dimettersi. Quattro settimane fa la figlia del segretario generale del Sitrabansur è stata stuprata da uomini armati e la moglie di Victor Manuel Gomez, un altro leader sindacale, è stata minacciata di morte. Il primo marzo alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi verso la casa di Carlos Carballo Cabrera, segretario generale della Confederazione di Unità Sindacale del Guatemala (CUSG). ITUC si è rivolta al presidente del Guatemala Alvaro Colom perchè agisca in modo da identificare i responsabili di queste violenze.

venerdì 7 marzo 2008

Nuovo rapporto ITUC: in tutto il mondo le donne sono pagate il 16% in meno




Alla vigilia della festa della donna, un nuovo rapporto ITUC, il Global Gender Pay Gap, rivela che in media le donne sono pagate il 16 % in meno degli uomini. Il rapporto analizza fonti ufficiali di 63 paesi del mondo. Sono anche inclusi i dati di un sondaggio on line che interessa 400.000 lavoratori in 12 paesi del mondo.



“Nonostante decenni di leggi anti discriminazione e cambiamenti nella retorica aziendale, i pacchetti salariali delle donne, a New York come a Shangai, sono ancora significativamente più piccoli di quelli degli uomini. Le notizie positive per i lavoratori del mondo sono che i sindacati riescono a diminuire questa distanza, come confermano i dati del rapporto. Attraverso la contrattazione collettiva, le donne e gli uomini ottengono un trattamento migliore e più equo”, dice il presidente di ITUC Sharan Burrow.
Ecco alcuni dei risultati dello studio:
Le donne più istruite spesso si trovano in una condizione di una differenza anche maggiore rispetto agli uomini con educazione simile; la competizione internazionale dovuta alla globalizzazione sembra in alcuni casi restringere il divario, ma ciò è dovuto più alla pressione verso il basso delle paghe degli uomini che all’aumento di quelle delle donne; mentre il gap diminuisce lentamente in alcune nazioni, non cambia o addirittura aumenta in altre; e le informazioni sui redditi non sono disponibili per centinaia di milioni di persone con un lavoro informale e non protetto, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, lasciando un corposo deficit nella conoscenza globale.
I sindacati in diverse nazioni sottolineano che le differenze effettive tra uomini e donne sono maggiori di quanto rilevato dalle statistiche. Le differenze nei criteri di raccolta e analisi dei dati, o l’assenza di lavori come ad esempio il lavoro domestico, possono condurre a una sottostima della differenza reale.
“Attraverso le nostre campagne per l’uguaglianza e altri diritti dei lavoratori, i sindacati stanno giocando un ruolo vitale nell’educare e informare i lavoratori su le differenze di salario tra i generi, contrastando la forte resistenza di alcuni governi e imprese. Siamo decisi a continuare e rafforzare questo lavoro, per assicurare che le donne in ogni angolo del mondo, impiegate in settori diversi e in centinaia di lavori diversi, possano ottenere una paga equa”, dice Burrow.
La nuova campagna mondiale di ITUC “Lavoro dignitoso, vita dignitosa per le donne” sarà lanciata il giorno della donna, 8 marzo, con eventi organizzati da 67 sindacati di 52 nazioni nel mondo. L’uguaglianza di genere sarà anche un argomento centrale della Giornata mondiale del lavoro dignitoso, un’iniziativa del sindacato globale che avverrà il 7 ottobre 2008.
Per scaricare il report clicca qui