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martedì 16 giugno 2009

I sindacati italiani, i migranti, le convenzioni internazionali

Riceviamo e pubblichiamo la posizione di CGIL CISL UIL rispetto alla applicazione della Convenzione n° 143 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sui Lavoratori migranti.

CGIL CISL UIL

Rapporto per ILO (International Labour Organization)

Situazione dei migranti e popolazione Rom e Sinti in Italia, in relazione alla Convenzione ILO n. 143 del 1975 e del decreto legislativo n. 215 del 2003

PREMESSA

Ci riferiamo al rapporto del Comitato di esperti OIL sull’applicazione delle Convenzioni e Raccomandazioni, presentato all’Organizzazione internazionale del Lavoro di Ginevra, riunita nella Conferenza Internazionale del lavoro (98^ sessione del 2009). A pag. 643 di detto rapporto l’Italia viene citata l’Italia per supposte violazioni, della Convenzione OIL n. 143 del 1975 (che l’Italia ha ratificato nel 1981). Detta Convenzione tratta del rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti, anche di quelli in condizione irregolare, nonché della promozione della pari opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti.
Detto rapporto fa anche riferimento al Decreto Legislativo n. 215 del 2003, con il quale l’Italia ha attuato la direttiva 2000/43/CE “per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”.
Per quanto riguarda la C. 143, il Comitato richiama l’attenzione del Governo italiano al rispetto, in particolare, dei seguenti articoli:
Art.1 - Diritti fondamentali dell’uomo per tutti i lavoratori migranti;
Art. 9 – Diritto, per i lavoratori migranti in condizione di irregolarità, a percepire remunerazione e previdenza sociale per i lavori svolti; nonché la garanzia di poter far valere i propri diritti di fronte ad un ente competente; ed il diritto del migrante e della propria famiglia a non sostenere le spese in caso di espulsione ;
Art. 10 – Promozione da parte dello Stato di misure atte a garantire uguale trattamento in materia di occupazione e professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali;
Art. 12 – Misure, da parte del Governo, atte ad informare ed istruire il pubblico per migliorarne la consapevolezza sulla discriminazione, allo scopo di cambiarne attitudini e comportamento; l’Esecutivo deve inoltre abrogare qualsiasi disposizione legislativa o prassi amministrativa incompatibili con una politica di pari opportunità e di accettazione dei lavoratori immigrati e le loro famiglie come membri a pieno titolo della società.
Per quanto riguarda il decreto legislativo n. 215 del 2003, con il quale è stato istituito l’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni (UNAR) presso il Ministero per le Pari Opportunità, valga per tutti il rispetto dell’Art. 1 (parità di trattamento tra le persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica), concetto già presente nel Testo Unico sull’immigrazione (art. 2 commi 1-8), ed alla base della nostra Costituzione (art.3).
IN RIFERIMENTO AGLI ARTICOLI CITATI

Per quanto riguarda l’Art. 1, va ricordato che l’Italia è un Paese civile e democratico e contempla nella propria legislazione la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Nondimeno, spesso la dichiarazione in astratto dei diritti, non si traduce automaticamente nella loro implementazione e piena fruizione da parte dei cittadini. In dettaglio:
1. Diritto alla libertà religiosa: rispettato in teoria, nella pratica esso ha trovato ostacoli a livello locale, con problemi posti alla costruzione di moschee (Lombardia, Veneto) ed alla espressione di preghiera in pubblico;
2. Diritti politici. In particolare il diritto di voto (attivo) è negato, in quanto previsto solo per il cittadino italiano; il diritto di voto amministrativo è negato in quanto l’Italia non ha mai ratificato il capitolo C della Convenzione di Strasburgo;
3. Diritti di uguaglianza sociale: questi si suddividono, a loro volta, in uguale accesso alla cittadinanza, uguaglianza di fronte alla legge e abolizione delle discriminazioni. Per quanto riguarda l’accesso alla cittadinanza, l’attuale ddl sicurezza allunga i termini di residenza legale in Italia successivi alla celebrazione matrimonio (da 6 mesi a 2 anni) per richiederla. La cittadinanza per residenza può essere richiesta solo dopo 10 anni e rimane difficile da ottenere, oltre che costosa (tassa di 200 €); uguaglianza di fronte alla legge: questo principio civile basilare è stato messo in discussione dalla legge n. 125 del 2008 che ha modificato l’art. 61 del Codice Penale, inserendo una ipotesi di “circostanza aggravante comune” del reato (aumento della pena di un terzo) … quando il colpevole abbia commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale. Abolizione delle discriminazioni: com’è stato più volte ribadito da Cgil, Cisl e UIL, compito costitutivo di UNAR non è solo quello di segnalare e combattere le discriminazioni dirette, prodotte da comportamenti individuali e collettivi, ma anche quelle indirette, rimuovendo dalla legislazione le norme in contrasto con la C. 143 (articolo 12), la Costituzione italiana ed il Testo Unico sull’immigrazione. In realtà la legislazione non è esente da discriminazioni in particolare in relazione ai cittadini stranieri, dall’accesso al lavoro pubblico (negato a chi non ha cittadinanza italiana), ai trattamenti previdenziali (differenziati nelle ipotesi di godimento per chi rientra nei paesi d’origine), all’utilizzo dei titoli di studio conseguiti all’estero (in genere non riconosciuti dall’Italia), fino al godimento di bonus (come quello relativo alla nascita di un figlio) che le ultime finanziarie hanno esplicitamente escluso per i non italiani. Vi sono poi in comportamenti di fatto, come quelli relativi al trattamento economico (di fatto inferiore al 40% rispetto agli Italiani, come ha evidenziato in un recente studio dell’INPS), nonché normative locali relative al godimento dei servizi che, in molte città si possono avere solo dopo 10 anni di residenza. Più volte Cgil, Cisl e UIL hanno segnalato che il comportamento di UNAR non è consono ed adeguato a quello di un istituto che si presume dovrebbe essere autonomo dai comportamenti dell’Esecutivo, proprio per permettere una piena applicazione delle normative sulle discriminazioni e mettere in mora comportamenti (anche pubblici) in contrasto con esse.

Art. 9 - Per i lavoratori migranti in condizione di irregolarità, diritto a percepire remunerazione e previdenza sociale per i lavori svolti, garanzia di poter far valere i propri diritti di fronte ad un ente competente; diritto del migrante e della propria famiglia a non sostenere le spese in caso di espulsione ; attualmente ad un lavoratore migrante in condizione di irregolarità non viene garantito il diritto alla remunerazione e tanto meno a percepire i diritti previdenziali. Sono molti i casi in cui la denuncia da parte del lavoratore del suo datore di lavoro inadempiente, si è tradotta in una espulsione del migrante che gli ha tolto di fatto il diritto a rivalersi in giudizio. Attualmente l’art. 11 della Bossi Fini prevede una pena fino a tre anni per l’imprenditore che utilizza manodopera in condizioni di clandestinità, ma solo in teoria. Sono pochissimi i datori di lavoro denunciati e meno ancora condannati. Al contrario, con l’introduzione del reato di clandestinità – attualmente in approvazione nel ddl C 2180 – l’espulsione del migrante irregolare può avvenire senza esame di un giudice togato, ma con il solo avvallo del giudice di pace. Con l’espulsione il diritto a far valere i propri diritti di fronte ad un ente competente , rimane solo in teoria. Nel 2006 il governo allora in carica promosse – su pressione sindacale – l’estensione dell’art. 18 del T.U. sull’immigrazione (previsto per gravi casi di tratta a scopo prostituzione) anche ai casi di grave sfruttamento lavorativo. Lo strumento, prevede che i casi comprovati di grave sfruttamento, su denuncia della vittima e su verifica delle autorità, consenta un permesso per motivi umanitari e un percorso protetto di integrazione. La norma è comunque molto restrittiva e non ha influito sul proliferare di gravi casi di lavoro coatto, oggi diffusi in agricoltura, nel campo dei servizi alla persona, ma anche nell’edilizia e nel commercio. Infine, lo Stato non garantisce le spese di rientro in caso di espulsione. E la mancata obbedienza all’espulsione comporta l’arresto ed una possibile condanna fino a quattro anni di carcere (art. 12 Bossi Fini).

Gli articoli 10 e 12 della Convenzione 143, non solo vengono sistematicamente disattesi, ma si tende ad ingenerare nella pubblica opinione un sentimento di rifiuto dell’immigrazione, specie se irregolare ma non solo. L’accostamento del termine “clandestino” con quello di criminale, la criminalizzazione di un’intera etnia come nel caso dei ROM o dei cittadini romeni, sono parte di una campagna spesso ad opera di autorità pubbliche o esponenti di partito che, ingigantita dai mass – media, produce un atteggiamento di insofferenza, quando non rifiuto nei confronti di tutti gli stranieri, con gravi conseguenze anche sul piano di episodi individuali o collettivi di razzismo e xenofobia.
Il clima è anche funzionale a far accettare nella pubblica opinione l’idea che si possa sorvolare sul rispetto di diritti fondamentali, come nel caso dei respingimenti di boat – people provenienti dal Nord Africa, negando di fatto chance ai potenziali richiedenti asilo di presentare regolare richiesta.
Inoltre, la legislazione in approvazione nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” , laddove introduce il reato di clandestinità, l’aggravante di clandestinità, il sequestro dell’immobile per chi affitta a irregolari, l’obbligo di denuncia a chi utilizza il money transfer senza esibire il titolo di soggiorno, l’obbligo di esibizione del permesso anche per gli atti amministrativi civili, conferma a nostro avviso l’intenzione di creare una legislazione separata penalizzante per gli immigrati, in particolare per gli irregolari, con gravi conseguenze della violazione di diritti umani e civili.

In particolare, il reato di clandestinità, trasforma in reato penale quella che è oggi una irregolarità amministrativa. Di conseguenza, questa fattispecie di reato finisce per avere un effetto a pioggia sulla legislazione e sul comportamento di pubblici funzionari che, in caso di non segnalazione di un migrante non in regola, potrebbero incorrere nella violazione dell’art. 328 del codice penale (rifiuto od omissione d’atti d’ufficio).
Sono note le polemiche nate per le norme inserite nel ddl sicurezza (ora ritirate) che prevedevano l’opzione per i medici di denunciare il migrante irregolare che ricorreva alle cure, e per i dirigenti scolastici la possibilità di denunciare la famiglia di uno scolaro straniero privo di permesso. In realtà il ritiro di quelle norme non è sufficiente ad evitare potenziali comportamenti persecutori nei confronti di pazienti e scolari, in quanto l’introduzione del reato di clandestinità finirà per pesare sui comportamenti dei pubblici funzionari.

SITUAZIONE ROM E SINTI

In generale non è stata predisposta una legislazione specifica nei loro riguardi, ma sono state emanate ordinanze (n. 3676, 3677, 3678) il 30 maggio 2008 con le quali si danno poteri straordinari ai prefetti delle città di Milano, Roma e Napoli, ed indicazione di smantellamento dei campi sosta abusivi. L’idea iniziale di prendere le impronte digitali anche ai minori nomadi è rientrata grazie alle proteste soprattutto europee. Alcuni comportamenti violenti nei confronti delle persone presenti nei campi al momento del controllo di sicurezza, sono risultati episodici ed isolati.
Quello che maggiormente si critica alle autorità è l’approccio emergenziale con cui si tratta un tema vecchio di secoli. In Italia ci sono 160 mila Rom e Sinti, di cui 90 mila italiani. Sono presenti nel nostro Paese dal 1400, ed una grandissima maggioranza si è integrata. Eppure si continua a trattare il tema “nomadi”, come se fosse recente e la situazione “di emergenza pubblica”. In realtà quello che manca è una seria politica di integrazione in materia di abitazioni, scuola ed avvio al lavoro. In fondo il tema Rom (e per analogia) dei romeni, serve ad agitare l’opinione pubblica e ad esasperare i comportamenti più violenti com’è successo l’anno scorso vicino a Napoli.
La legislazione in approvazione prevede due norme specificamente mirate a Rom e Sinti: quella introduce norme piu' severe per il contrasto all'impiego di minori per l'accattonaggio e quella che subordina la concessione della residenza ad una verifica sulle condizioni di abitabilità (idoneità alloggiativi) , condizioni difficili da superare per chi vive in un campo.

CONCLUSIONI

La legislazione italiana contiene principi importanti di rispetto dei diritti umani, in linea con i principi e le norme internazionali, e a favore di una piena valorizzazione della persona indipendentemente dalla provenienza, colore, razza, credo religioso. La sua normativa, però, non è esente da norme con contenuti oggettivamente discriminatori che andrebbero eliminati. Anche in fase di applicazione delle leggi e dei principi, ci si scontra con un notevole ritardo nell’applicazione di un principio di parità piena ed effettiva per tutti. Oggi la crisi economica ed il clima politico avvelenato certo non facilitano questo percorso, sia pur urgente e necessario.
Purtroppo, anche gli organismi creati a tutela di questo percorso di parità effettiva e di armoniosa convivenza tra le diversità, si sono rivelati insufficienti nell’autonomia e nell’efficacia (vedi Pari Opportunità).
La presenza in Italia di oltre un milione di migranti irregolari e la percezione netta nell’opinione pubblica di una mancanza reale di governance del fenomeno, ha accentuato nella popolazione l’insofferenza verso le diversità.
La crisi economica ha certo prodotto una maggiore tendenza alla chiusura della società italiana ed una più facile permeabilità ad un clima di rifiuto degli stranieri (non solo dei cosiddetti “clandestini”) e del popolo dei Rom e dei Sinti; clima purtroppo anche alimentato da propaganda partitica e dalla drammatizzazione dei mass – media di episodi individuali di cronaca. Un clima tanto grave da spingere 27 organizzazioni della società civile (tra cui tutti i sindacati) a dar vita ad una campagna nazionale contro il razzismo e la paura dell’altro.
Di fronte a questa situazione oggettivamente difficile, la scelta del presente Esecutivo di chiudere i flussi d’ingresso per il 2009 e varare misure draconiane tese a fare terra bruciata attorno alle condizioni di vita dei migranti, non solo non produrrà effetti sul piano della lotta all’irregolarità (al contrario, destinata a crescere), ma rischia di acuire il clima di scontro ed incomprensione nell’alveo della società civile.



ISCOS Marche

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